GIOIA

venerdì 5 aprile 2019 | 21:00
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Teatro Pietro Aretino – Arezzo

Teatro Metastasio / Teatro Metropopolare
GIOIA

drammaturgia e regia Livia Gionfrida
scene e animazioni Alice Mangano
luci Roberto Innocenti
musiche e suoni Andrea Franchi
assistente alla regia Giulia Aiazzi
con Livia Gionfrida

direttore dell’allestimento Roberto Innocenti
direttore di scena Marco Serafino Cecchi
capo elettricista Michele Percopo

dipinti Nicola Console
direzione fotografia animazioni Marianne Boutrit
montaggio video Roberto Losurdo
foto e video documentazione Duccio Burberi
logistica Rebecca Polidori

produzione Teatro Metastasio di Prato in collaborazione con Teatro Metropopolare

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Gioia è una storia d’amore senza tempo, quella tra una madre e un figlio difficile. Un ragazzo “testa di legno” che decide giovanissimo di intraprendere la cattiva strada e alla fine di lanciarsi in una Grande Impresa che lo condurrà tra le braccia di un ingiusto e paradossale destino. In un ribaltamento finale di personaggi buoni e cattivi, lui “tutto sbagliato” passa da colpevole a vittima. La tragicomica rappresentazione diventa per la madre l’unico strumento per cercare di capire, per ricostruire i fatti e farsi una ragione della perdita e dell’ingiustizia subita.
In scena dialetto siciliano e animazioni video si alimentano di suggestioni letterarie e simboli provenienti dall’immaginario religioso, fatti di cronaca e interviste realizzate in carcere. Ne viene fuori una singolare drammaturgia originale sospesa tra fiaba e realtà, che ha per protagonisti gli ultimi, i calpestati.

Note di regia
Da qualche anno ho nella testa l’idea di fare uno spettacolo che parli di morti ammazzati per mano dello Stato. Non è un argomento facile per me. Lavoro in carcere, dove da molto tempo conduco una singolare esperienza di ricerca teatrale. Ho conosciuto in questi anni molti detenuti e conosco il duro impegno di chi, agenti e operatori, opera all’interno degli istituti di pena, ma per mia stessa natura non sono interessata a tracciare un confine netto tra buoni e cattivi e amo semmai interrogarmi intorno alla natura umana. Chissà, forse è proprio per questo che faccio teatro, ed è ancora per questa ragione che negli ultimi anni ho scelto come residenza artistica ideale, un istituto penitenziario. Non ho mai pensato né prodotto spettacoli del genere che viene definito ‘sociale’, né tantomeno mi sono mai occupata del cosiddetto genere ‘civile’, anche se conosco e stimo alcune importanti esperienze che si definiscono così. Ci sono però alcune storie che sento maturare dentro di me e che ho bisogno di trasformare in domande, in immagini e carne. Le storie di Stefano Cucchi e di altri che come lui hanno attraversato insieme alle loro famiglie un terribile calvario, le vicende e i crimini commessi lungo la cattiva strada che alcuni detenuti mi hanno raccontato in questi anni, hanno acceso in me la necessità di provare a scrivere questo monologo. Che non vuole essere ‘civile’ ma che spero diventi, semplicemente ‘teatro’.  Il lavoro qui proposto fa parte di un fecondo progetto che ha dato vita a studi autonomi e molto distanti tra loro. Gioia ne rappresenta lo sviluppo, il punto estremo senza ritorno, in cui nascita e morte si incrociano e perdono i contorni.
Livia Gionfrida